La Carrucola
Antiche tradizioni
LA CARRUCOLA
Storia dell’impianto.
Verso l’inizio degli anni ’50 del secolo scorso, avviene lo smantellamento da parte della ditta Bregaglia (ex Capitanio) dell’impianto a fune che per mezzo di appositi carrelli trasporta del pietrisco dalla cava in località Fornâsj (sotto Ovedasso) fino al frantoio localizzato a Resiutta superando il fiume Fella.
Rimanevano così gli ancoraggi della teleferica: uno su un pilone in cemento lato Resiutta e l’altro su pali lato Ovedasso. Va detto che, per gli Ovedassini, Resiutta è sempre stata una meta importante, in quanto Resiutta è il più prossimo punto di transito dei mezzi pubblici (nonostante Ovedasso ricada sotto il comune di Moggio). In questa prospettiva, ed in mancanza di un ponte o di una passerella pedonale agli Ovedassini è balenata l’idea di sfruttare gli agganci suddetti per installare una fune da impiegare per superare di persona l’alveo del fiume Fella, il cui letto a seconda dell’entità delle piene, cambia spesso posizione. Gli abitanti di Ovedasso, d’accordo con i proprietari dell’impianto, hanno usufruito degli ancoraggi dismessi per installare una nuova fune a trefolo d’acciaio dal diametro di 8 mm. per una lunghezza di oltre 320 m.; l’impianto ovviamente non venne né registrato né tantomeno collaudato da alcun ente preposto, a rischio e pericolo della sicurezza delle persone. Per superare l’avvallamento della fune tesa dovuto al grande sbalzo tra i due ancoraggi, vennero posizionate n° 3 cavallette in legno, equidistanti. Ciascuna aveva un’altezza prossima ai 3 metri e forma triangolare con tre appoggi stabili, provvista di pioli trasversali per poter scendere oppure superare la stessa per raggiungere la seguente a seconda di come si presentasse il corso del fiume tra le cavallette. Nel caso di piena estrema, le cavallette, non essendo agganciate alla fune, venivano spesso trascinate via dalle acque, garantendo però che la fune non venisse danneggiata. Le cavallette perdute venivano poi tempestivamente rimpiazzate dai paesani. In corrispondenza del pilone in cemento (lato Resiutta, raramente interessato dall’esondazione) era sistemata una scala a pioli per scendere definitivamente dall’impianto a fune. La fornitura e posa della fune, compresa la costruzione delle cavallette, era considerata una forma di autotassazione dei paesani che avessero usufruito di tale impianto. Infatti la prevalenza degli abitanti di Ovedasso, compresi operai e studenti che dovevano raggiungere le più prossime vie di comunicazione, preferivano questo mezzo di trasporto giungendo a Resiutta in meno di mezz’ora. Infatti, per raggiungere il capoluogo Moggio, fino agli inizi degli anni ’70 si doveva percorrere un lungo tratto di strada mulattiera impiegando un’ora a piedi. Solo in seguito al completamento della strada comunale per Moggio si poteva arrivare comodamente a Ovedasso in auto: a tal punto, venne meno la necessità di impiegare la carrucola verso Resiutta. Nell’estate del 1967 una troupe della RAI giunse sull’impianto realizzando un breve servizio sull’uso di questo singolare mezzo di trasporto: un volontario di Ovedasso si prestò a fornire le più dettagliate delucidazioni intorno all’uso della carrucola. L’impianto venne smantellato alla fine degli anni ’70 assieme ad altri palorci lungo la valle del Fella, in quanto questi interferivano con il tracciato della costruenda autostrada A23 Udine-Tarvisio (1980÷1982) e la fune venne riconsegnata ai frazionisti che poi la vendettero ad un privato.
Descrizione ed uso della carrucola.
Seggiolino
Carrucola
Lo strumento di trasporto, destinato di norma ad una persona singola e in casi eccezionali anche a due, era composto dalla carrucola e dal seggiolino. La carrucola consisteva in un tamburo in acciaio dal diametro di 70 mm. con sede cava a “V” per ospitare la fune da 8 mm., montato su cuscinetti a sfera attraverso un perno da 12 mm. e fissato su un apposito supporto riportante inferiormente un gancio girevole per l’attacco del seggiolino (friulano: sènte). Il seggiolino consisteva in un cavetto in acciaio realizzato ad anello di forma triangolare, superiormente riportante un occhiello per l’aggancio alla carrucola, ed inferiormente atto ad avvolgeva una tavola in legno sulla quale si sedeva il trasportato. Le carrucole venivano prevalentemente costruite da un fabbro di fiducia mentre il seggiolino era spesso autocostruito. La maggior parte delle carrucole disponeva di un sistema di sicurezza manuale per evitare lo scarrucolamento.
Lo spostamento in avanti da una cavalletta all’altra avveniva con la forza del braccio: impugnando la fune con una mano a braccio teso la si tirava verso di sé (facendo attenzione a rilasciare la mano prima che il tamburo schiacciasse le dita!), mentre con l’altra mano ci si teneva con forza al seggiolino all’altezza dell’aggancio con la carrucola. Per agevolare l’avanzamento il più delle volte ci si aiutava puntando il piede sulla cavalletta a monte spingendosi con energia per poi riprendere il tiro della fune quando ci si trovava nella fase di risalita verso la cavalletta successiva.
Agosto 2024
Zanotto Valerio